Uno dei problemi nello studiare le popolazioni microbiche in relazione alle piante è capire quale specifico microrganismo o processo sia responsabile di un determinato risultato. In questo campo di ricerca è difficile ottenere risultati costanti e riproducibili in esperimenti successivi. Tuttavia, a partire dal lavoro dello scienziato giapponese Teruo Higa, sono state fatte alcune osservazioni che hanno permesso di capire come l’uso degli EM (effective microrganisms) possa essere molto interessante. Teruo Higa inizia le sue ricerche negli anni settanta, scontrandosi con tutte le difficoltà già citate. Gli studi dello scienziato giapponese partono dal principio della stabilità degli ecosistemi: in un ambiente ricco e in equilibrio nessuna specie prevale sulle altre, per cui maggiore è la presenza di biodiversità e maggiore è la stabilità dell’ecosistema. Higa ipotizza che questa legge valga anche per i microrganismi. Sotto questa ipotesi un ambiente in cui sia presente una grande biodiversità con tanti microrganismi diversi, risulta più sano. Anche i principali agenti patogeni delle piante sono microrganismi, soprattutto funghi e batteri, se si troveranno in ambienti stabili difficilmente riusciranno a prevalere,
di conseguenza non porteranno danni importanti alle coltivazioni. Egli osservò che in un ambiente naturale le piante risultano meno attaccabili dalle patologie tipiche degli ambienti antropizzati (caratterizzati da una gestione umana).
Oltre al discorso delle patologie la microscopica vita del sottosuolo ha moltissime interazioni con le piante: organismi vegetali e microrganismi del terreno hanno un’attività indissolubilmente legata e non possono vivere gli uni senza gli altri. Molte di queste interazioni sono ancora sconosciute, ma il dottor Higa arrivò comunque a risultati importanti.
In qualsiasi testo di agronomia vengono citate le tre componenti della fertilità dei suoli:
• La FERTILITÀ FISICA ovvero la tessitura del terreno meglio nota come “impasto” delle componenti fondamentali: argilla, limo, sabbia e scheletro (sassi e materiale grossolano). L’equilibrio di questi componenti ci darà un terreno di “medio impasto”
la prevalenza di uno dei componenti sugli altri ci darà un terreno via via argilloso o limoso o sabbioso (nella zona di Vivaro: sassoso).
• La FERTILITÀ CHIMICA ovvero la presenza dei macro elementi e cioè azoto (N), fosforo (P) e potassio (K), principalmente e via via calcio (Ca), ferro (Fe), rame (Cu), zinco (Zn) e tutti quelli chiamati oligoelementi.
• La FERTILITÀ MICROBIOLOGICA cioè l’attività della microflora e microfauna del terreno che rende gli elementi chimici della fertilità (nutrienti) fruibili dalle radici delle piante e che vive nella sostanza organica del terreno (humus).
Sul primo componente è quasi impossibile intervenire per modificarlo se non a prezzo di un dispendio economico rilevante. Gli eventuali squilibri vengono quindi compensati con appropriate lavorazioni; il secondo è il principale oggetto delle operazioni agrarie (fertilizzazioni); il terzo, che è l’anello di congiunzione tra lo sforzo agronomico e le produzioni, viene per lo più trascurato.
Se l’agricoltore è quasi sempre disposto a eseguire analisi chimiche dl terreno per appurare la quantità di N,P e K, quasi mai si preoccupa dello stato di salute del terreno ovvero della microflora e microfauna. Siamo tutti convinti che l’apporto di ammendanti organici (liquame e letame) e/o l’interramento dei residui colturali, siano sufficienti per il ripristino della fertilità. Eppure la naturale degradazione di questi materiali può prendere due strade: quella di una regolare fermentazione che li trasformerà in humus in equilibrio con le componenti del terreno o quella della putrefazione o marcescenza che accentuerà lo squilibrio favorendo la proliferazione di microrganismi patogeni che andranno a minare il corretto sviluppo delle piante con grave danno per le produzioni.
I Microrganismi Effettivi agiscono per indirizzare la degradazione dei materiali organici verso la prima delle due soluzioni, favorendo quindi un salutare equilibrio della materia vivente nel terreno (biocenosi) e inibendo il proliferare di funghi o altri organismi patogeni per le colture. Non dimentichiamo inoltre che l’Humus, che questi batteri vanno a produrre, trattiene l’acqua per 40 volte il suo peso garantendo quindi un adeguato apporto idrico alle colture durante i sempre più frequenti periodi siccitosi. Questi pool batterici possono essere prodotti in azienda utilizzando innesti preconfezionati e semplici materiali reperibili in commercio, utilizzando un’attrezzatura men che artigianale, con risibile costo economico. Possono essere utilizzati anche in agricoltura biologica, in quanto del tutto naturali e anzi il loro utilizzo è auspicato poiché surrogano prodotti chimici e sostanze bandite dai disciplinari. I Microrganismi Effettivi possono essere applicati in campo, direttamente irrorati sui residui colturali (stoppie, stocchi, foglie e brattee) oppure su materiali stoccati come i reflui zootecnici. L’irrorazione su liquami e letami ha altresì fatto rilevare una diminuzione degli odori molesti ed una minore proliferazione di mosche ed altri insetti nocivi.
I microrganismi effettivi (M.E.)
Uno dei problemi nello studiare le popolazioni microbiche in relazione alle piante è capire quale specifico microrganismo o processo sia responsabile di un determinato risultato. In questo campo di ricerca è difficile ottenere risultati costanti e riproducibili in esperimenti successivi. Tuttavia, a partire dal lavoro dello scienziato giapponese Teruo Higa, sono state fatte alcune osservazioni che hanno permesso di capire come l’uso degli EM (effective microrganisms) possa essere molto interessante. Teruo Higa inizia le sue ricerche negli anni settanta, scontrandosi con tutte le difficoltà già citate. Gli studi dello scienziato giapponese partono dal principio della stabilità degli ecosistemi: in un ambiente ricco e in equilibrio nessuna specie prevale sulle altre, per cui maggiore è la presenza di biodiversità e maggiore è la stabilità dell’ecosistema. Higa ipotizza che questa legge valga anche per i microrganismi. Sotto questa ipotesi un ambiente in cui sia presente una grande biodiversità con tanti microrganismi diversi, risulta più sano. Anche i principali agenti patogeni delle piante sono microrganismi, soprattutto funghi e batteri, se si troveranno in ambienti stabili difficilmente riusciranno a prevalere,
di conseguenza non porteranno danni importanti alle coltivazioni. Egli osservò che in un ambiente naturale le piante risultano meno attaccabili dalle patologie tipiche degli ambienti antropizzati (caratterizzati da una gestione umana).
Oltre al discorso delle patologie la microscopica vita del sottosuolo ha moltissime interazioni con le piante: organismi vegetali e microrganismi del terreno hanno un’attività indissolubilmente legata e non possono vivere gli uni senza gli altri. Molte di queste interazioni sono ancora sconosciute, ma il dottor Higa arrivò comunque a risultati importanti.
In qualsiasi testo di agronomia vengono citate le tre componenti della fertilità dei suoli:
• La FERTILITÀ FISICA ovvero la tessitura del terreno meglio nota come “impasto” delle componenti fondamentali: argilla, limo, sabbia e scheletro (sassi e materiale grossolano). L’equilibrio di questi componenti ci darà un terreno di “medio impasto”
la prevalenza di uno dei componenti sugli altri ci darà un terreno via via argilloso o limoso o sabbioso (nella zona di Vivaro: sassoso).
• La FERTILITÀ CHIMICA ovvero la presenza dei macro elementi e cioè azoto (N), fosforo (P) e potassio (K), principalmente e via via calcio (Ca), ferro (Fe), rame (Cu), zinco (Zn) e tutti quelli chiamati oligoelementi.
• La FERTILITÀ MICROBIOLOGICA cioè l’attività della microflora e microfauna del terreno che rende gli elementi chimici della fertilità (nutrienti) fruibili dalle radici delle piante e che vive nella sostanza organica del terreno (humus).
Sul primo componente è quasi impossibile intervenire per modificarlo se non a prezzo di un dispendio economico rilevante. Gli eventuali squilibri vengono quindi compensati con appropriate lavorazioni; il secondo è il principale oggetto delle operazioni agrarie (fertilizzazioni); il terzo, che è l’anello di congiunzione tra lo sforzo agronomico e le produzioni, viene per lo più trascurato.
Se l’agricoltore è quasi sempre disposto a eseguire analisi chimiche dl terreno per appurare la quantità di N,P e K, quasi mai si preoccupa dello stato di salute del terreno ovvero della microflora e microfauna. Siamo tutti convinti che l’apporto di ammendanti organici (liquame e letame) e/o l’interramento dei residui colturali, siano sufficienti per il ripristino della fertilità. Eppure la naturale degradazione di questi materiali può prendere due strade: quella di una regolare fermentazione che li trasformerà in humus in equilibrio con le componenti del terreno o quella della putrefazione o marcescenza che accentuerà lo squilibrio favorendo la proliferazione di microrganismi patogeni che andranno a minare il corretto sviluppo delle piante con grave danno per le produzioni.
I Microrganismi Effettivi agiscono per indirizzare la degradazione dei materiali organici verso la prima delle due soluzioni, favorendo quindi un salutare equilibrio della materia vivente nel terreno (biocenosi) e inibendo il proliferare di funghi o altri organismi patogeni per le colture. Non dimentichiamo inoltre che l’Humus, che questi batteri vanno a produrre, trattiene l’acqua per 40 volte il suo peso garantendo quindi un adeguato apporto idrico alle colture durante i sempre più frequenti periodi siccitosi. Questi pool batterici possono essere prodotti in azienda utilizzando innesti preconfezionati e semplici materiali reperibili in commercio, utilizzando un’attrezzatura men che artigianale, con risibile costo economico. Possono essere utilizzati anche in agricoltura biologica, in quanto del tutto naturali e anzi il loro utilizzo è auspicato poiché surrogano prodotti chimici e sostanze bandite dai disciplinari. I Microrganismi Effettivi possono essere applicati in campo, direttamente irrorati sui residui colturali (stoppie, stocchi, foglie e brattee) oppure su materiali stoccati come i reflui zootecnici. L’irrorazione su liquami e letami ha altresì fatto rilevare una diminuzione degli odori molesti ed una minore proliferazione di mosche ed altri insetti nocivi.