Gruppo di lavoro settore suini
In seguito ad un adeguamento di leg ge è venuto meno l’obbligo di costituire all’interno delle ARA le sezioni in rappre sentanza delle diverse specie animali , o razze per i bovini. Non solo per consue tudine ma per reale necessità di coordi namento delle attività abbiamo ritenuto di favorire il ripristino di un gruppo di lavoro, capace di recepire le esigenze delle aziende per condividere le proble matiche presenti e comuni a livello re gionale. Per la sua costituzione abbiamo dapprima contattato tutti i soci allevatori di suini,e poi in base alle disponibilità espresse abbiamo definito a fine 2021 la rappresentanza i cui componenti sono: Zolin M (referente), Marcuzzo S (vice), Milani A (vice), Bosco, Di Giorgio, Dor dolo, Foi, Gambara, Gemin, Giacomini, Giorgiutti, Malpaga, Mansutti, Mazzolini, Melchior, Muradore, Napodano, Rizzi.
Peste Suina Africana
Il 6 gennaio è stata rinvenuta la prima carcassa di cinghiale infetta da Peste Suina Africana a Ovada, in provincia di Alessandria, Piemonte.
Questa malattia fa molta paura a tutti gli addetti del settore per diversi motivi: in primis ha alta letalità, attorno al 60-70%, e alta trasmissibilità, oltre che persistenza nelle carcasse anche per diversi mesi. Il secondo motivo è di natura prettamente economica perché legate alla prima diagnosi della malattia vengono intrapre se diverse azioni per contenerne la diffusione che vanno dall’isolamento della zona attorno alla quale vi è stato il rinvenimento, alla chiusura immediata di alcuni canali commerciali con l’estero. Facciamo un passo indietro: la malattia può entrare in un territorio indenne at traverso due vie, ovvero per contiguità con popolazioni infette o per salto geografico.
Nel primo caso una intera popolazione di cinghiali infetti si sposta da un’area all’altra contaminandola; è il caso più prevedibile ma anche più difficile da gestire perché il numero di soggetti positivi è difficile da quantificare, monitorare e bloccare negli spostamenti che avvengono attraverso boschi, fiumi e strade. Il secondo caso è una comparsa “casuale”, “accidentale” perché il virus viene veicolato dall’uomo e lasciato sul territorio in maniera casuale, fortuita, impre vedibile. La sua localizzazione avviene soltanto quando, attraverso un moni toraggio cosiddetto passivo, non venga isolato il virus da una carcassa che viene rinvenuta, prelevata e analizzata. Il tempo che passa dal primo contagio alla prima identificazione in laboratorio, può essere anche molto lungo perché non esiste un sistema di allarme e di indagine così tempestivo e capillare da isolare ogni singolo cinghiale che muoia nei boschi.
Può la densità di cinghiali sul territorio influire sulla velocità di trasmissione della malattia? Ha senso concentrare gli sforzi solo sulla loro riduzione numerica in termini assoluti? Come sempre accade in ambito biologico non esiste una sola risposta, e le implicazioni di natura economica sono molte. La biodiversità va tutelata, ma questo implica una ge stione che preveda anche lo sfoltimento di certi aree. Ai nostri occhi ci sono state molte carenza da parte di chi avrebbe dovuto svolgere questo compito e l’e videnza viene data dagli stessi report ufficiali che parlano di concentrazioni elevatissime di suidi selvatici, ovvero cinghiali, in alcune zone ben delimitate d’Italia, basti considerare che in Liguria la presenza media è di 5,3 capi per km2, in Toscana di 6,8 capi per km2, contro una media friulana di 0,5 capi per km2. La nostra media regionale tiene però in considerazione anche le superfici urba nizzate o comunque impraticabili per gli animali, infatti i valori di densità tendono a diventare critici in alcune aree quali la provincia di Trieste, porzioni di gorizia no e alto pordenonese. Secondo il “Manuale delle emergenze da Peste Suina Africana in popolazioni di suini selvatici”, revisione recente del luglio 2020, la trasmissione diretta è prevalente rispet to ad altre vie quando la densità supera i 2 capi/km2.
La Direzione Regionale Caccia e Direzione Regionale Servizio Forestale, in collaborazione con il Servizio Sanità sta da anni lavorando per implementare tutte le misure necessarie a farsi trovare pron ti in caso di emergenza di casi positivi, cercando quindi di aumentare il rinve nimento di carcasse anche attraverso eventi formativi della popolazione, inter venendo poi in specifiche situazioni per danni conclamati o presenza eccessiva di nuclei di cinghiali, e ancora monitorando annualmente l’andamento delle consistenze attraverso l’elaborazione e pubblicazione dei dati dei censimenti,.. Le implicazioni di un eventuale focolaio in regione sarebbero devastanti per mol ti settori, per valutarne l’entità guardia mo cosa stia succedendo in Piemonte e Liguria, o meglio nella zona stabilita in applicazione dell’articolo 63, para grafo 1 del Reg. (UE)2020/687, individuata dal dispositivo direttoriale prot. n. 583-DGSAF-MDS-P dell’11 gennaio 2022: da subito sono state vietate le attività all’aperto quali caccia, la raccolta dei funghi e dei tartufi, la pesca, il trekking, il mountain biking e le altre attività che, prevedendo l’interazione diretta o indiretta con i cinghiali infetti o potenzialmente infetti, comportino un rischio per la diffusione della malattia; in parallelo vi è stato il blocco delle movimentazioni di suini e dei loro derivati. Entro agosto secondo le previsioni più ottimistiche verrà recintata un’area di decine e decine di km quadrati, te nendo una distanza di almeno 10 km dai focolai. Si dice che la difficoltà di recintare una superficie così ampia sia data anche dalla sua ubicazione in zona prevalentemente montana…ma non vo gliamo immaginare cosa succederebbe alla viabilità urbana se i confini di questa ricadessero in prossimità di una città di medie dimensioni.
Le misure di controllo della malattia de vono essere applicate fino allo scadere di un periodo di dodici mesi dalla con statazione dell’ultimo caso di PSA nei suini selvatici nella zona infetta; dette misure di controllo devono comunque essere mantenute per un periodo mini mo di successivi dodici mesi. Significa che la velocità di raccolta delle carcasse presenti sul territorio è strategica per due motivi: il primo è la rimozione del materiale infettante, il secondo è per far partire questo conto alla rovescia che dura ben 2 anni.
La riduzione delle densità di cinghiali aiuterebbe il rallentamento della diffusione perché meno animali equivalgono a meno contatti e quindi meno diffusio ne “attiva”. Tuttavia la complessa strate gia di eradicazione prevede un ingente sforzo di depopolamento da operarsi sia tramite cacciatori sia tramite operatori abilitati in dipendenza dell’organizza zione locale. Secondo studi recenti per vedere un effetto significativo in questo senso, la popolazione dovrebbe essere ridotta nelle aree infette del 90 % in tempi molto rapidi, e riteniamo che questo sia davvero difficile da raggiungere quando anche la sensibilità dell’o pinione pubblica è restia a considerare risoluzioni drastiche. Riteniamo si debba quindi lavorare in prevenzione, creando ambienti ostili alla proliferazione indiscriminata dei cinghiali da un lato, e favorendo la normale e regolare attività venatoria anche attraverso filiere di valo rizzazione del cacciato.
Peste suina africana
Gruppo di lavoro settore suini
In seguito ad un adeguamento di leg ge è venuto meno l’obbligo di costituire all’interno delle ARA le sezioni in rappre sentanza delle diverse specie animali , o razze per i bovini. Non solo per consue tudine ma per reale necessità di coordi namento delle attività abbiamo ritenuto di favorire il ripristino di un gruppo di lavoro, capace di recepire le esigenze delle aziende per condividere le proble matiche presenti e comuni a livello re gionale. Per la sua costituzione abbiamo dapprima contattato tutti i soci allevatori di suini,e poi in base alle disponibilità espresse abbiamo definito a fine 2021 la rappresentanza i cui componenti sono: Zolin M (referente), Marcuzzo S (vice), Milani A (vice), Bosco, Di Giorgio, Dor dolo, Foi, Gambara, Gemin, Giacomini, Giorgiutti, Malpaga, Mansutti, Mazzolini, Melchior, Muradore, Napodano, Rizzi.
Peste Suina Africana
Il 6 gennaio è stata rinvenuta la prima carcassa di cinghiale infetta da Peste Suina Africana a Ovada, in provincia di Alessandria, Piemonte.
Questa malattia fa molta paura a tutti gli addetti del settore per diversi motivi: in primis ha alta letalità, attorno al 60-70%, e alta trasmissibilità, oltre che persistenza nelle carcasse anche per diversi mesi. Il secondo motivo è di natura prettamente economica perché legate alla prima diagnosi della malattia vengono intrapre se diverse azioni per contenerne la diffusione che vanno dall’isolamento della zona attorno alla quale vi è stato il rinvenimento, alla chiusura immediata di alcuni canali commerciali con l’estero. Facciamo un passo indietro: la malattia può entrare in un territorio indenne at traverso due vie, ovvero per contiguità con popolazioni infette o per salto geografico.
Nel primo caso una intera popolazione di cinghiali infetti si sposta da un’area all’altra contaminandola; è il caso più prevedibile ma anche più difficile da gestire perché il numero di soggetti positivi è difficile da quantificare, monitorare e bloccare negli spostamenti che avvengono attraverso boschi, fiumi e strade. Il secondo caso è una comparsa “casuale”, “accidentale” perché il virus viene veicolato dall’uomo e lasciato sul territorio in maniera casuale, fortuita, impre vedibile. La sua localizzazione avviene soltanto quando, attraverso un moni toraggio cosiddetto passivo, non venga isolato il virus da una carcassa che viene rinvenuta, prelevata e analizzata. Il tempo che passa dal primo contagio alla prima identificazione in laboratorio, può essere anche molto lungo perché non esiste un sistema di allarme e di indagine così tempestivo e capillare da isolare ogni singolo cinghiale che muoia nei boschi.
Può la densità di cinghiali sul territorio influire sulla velocità di trasmissione della malattia? Ha senso concentrare gli sforzi solo sulla loro riduzione numerica in termini assoluti? Come sempre accade in ambito biologico non esiste una sola risposta, e le implicazioni di natura economica sono molte. La biodiversità va tutelata, ma questo implica una ge stione che preveda anche lo sfoltimento di certi aree. Ai nostri occhi ci sono state molte carenza da parte di chi avrebbe dovuto svolgere questo compito e l’e videnza viene data dagli stessi report ufficiali che parlano di concentrazioni elevatissime di suidi selvatici, ovvero cinghiali, in alcune zone ben delimitate d’Italia, basti considerare che in Liguria la presenza media è di 5,3 capi per km2, in Toscana di 6,8 capi per km2, contro una media friulana di 0,5 capi per km2. La nostra media regionale tiene però in considerazione anche le superfici urba nizzate o comunque impraticabili per gli animali, infatti i valori di densità tendono a diventare critici in alcune aree quali la provincia di Trieste, porzioni di gorizia no e alto pordenonese. Secondo il “Manuale delle emergenze da Peste Suina Africana in popolazioni di suini selvatici”, revisione recente del luglio 2020, la trasmissione diretta è prevalente rispet to ad altre vie quando la densità supera i 2 capi/km2.
La Direzione Regionale Caccia e Direzione Regionale Servizio Forestale, in collaborazione con il Servizio Sanità sta da anni lavorando per implementare tutte le misure necessarie a farsi trovare pron ti in caso di emergenza di casi positivi, cercando quindi di aumentare il rinve nimento di carcasse anche attraverso eventi formativi della popolazione, inter venendo poi in specifiche situazioni per danni conclamati o presenza eccessiva di nuclei di cinghiali, e ancora monitorando annualmente l’andamento delle consistenze attraverso l’elaborazione e pubblicazione dei dati dei censimenti,.. Le implicazioni di un eventuale focolaio in regione sarebbero devastanti per mol ti settori, per valutarne l’entità guardia mo cosa stia succedendo in Piemonte e Liguria, o meglio nella zona stabilita in applicazione dell’articolo 63, para grafo 1 del Reg. (UE)2020/687, individuata dal dispositivo direttoriale prot. n. 583-DGSAF-MDS-P dell’11 gennaio 2022: da subito sono state vietate le attività all’aperto quali caccia, la raccolta dei funghi e dei tartufi, la pesca, il trekking, il mountain biking e le altre attività che, prevedendo l’interazione diretta o indiretta con i cinghiali infetti o potenzialmente infetti, comportino un rischio per la diffusione della malattia; in parallelo vi è stato il blocco delle movimentazioni di suini e dei loro derivati. Entro agosto secondo le previsioni più ottimistiche verrà recintata un’area di decine e decine di km quadrati, te nendo una distanza di almeno 10 km dai focolai. Si dice che la difficoltà di recintare una superficie così ampia sia data anche dalla sua ubicazione in zona prevalentemente montana…ma non vo gliamo immaginare cosa succederebbe alla viabilità urbana se i confini di questa ricadessero in prossimità di una città di medie dimensioni.
Le misure di controllo della malattia de vono essere applicate fino allo scadere di un periodo di dodici mesi dalla con statazione dell’ultimo caso di PSA nei suini selvatici nella zona infetta; dette misure di controllo devono comunque essere mantenute per un periodo mini mo di successivi dodici mesi. Significa che la velocità di raccolta delle carcasse presenti sul territorio è strategica per due motivi: il primo è la rimozione del materiale infettante, il secondo è per far partire questo conto alla rovescia che dura ben 2 anni.
La riduzione delle densità di cinghiali aiuterebbe il rallentamento della diffusione perché meno animali equivalgono a meno contatti e quindi meno diffusio ne “attiva”. Tuttavia la complessa strate gia di eradicazione prevede un ingente sforzo di depopolamento da operarsi sia tramite cacciatori sia tramite operatori abilitati in dipendenza dell’organizza zione locale. Secondo studi recenti per vedere un effetto significativo in questo senso, la popolazione dovrebbe essere ridotta nelle aree infette del 90 % in tempi molto rapidi, e riteniamo che questo sia davvero difficile da raggiungere quando anche la sensibilità dell’o pinione pubblica è restia a considerare risoluzioni drastiche. Riteniamo si debba quindi lavorare in prevenzione, creando ambienti ostili alla proliferazione indiscriminata dei cinghiali da un lato, e favorendo la normale e regolare attività venatoria anche attraverso filiere di valo rizzazione del cacciato.